Dopo questo episodio tutto sembra dimenticato. Chiedo a Carlo che fine abbia fatto questo imprenditore.
“Allora compera? Vendiamo? Regaliamo?” tutto sto casino e poi adesso non se ne parla più. Io non c’ho dormito pensando che presto ci sarebbero stati grandi cambiamenti, e come poteva prenderli mio padre. Nessuno mi risponde. Sembra che non se ne faccia più nulla.
Qualcosa è cambiato nel suo atteggiamento. Si veste sempre più da straccione. Invece delle auto costose che ha sempre avuto, si è messo a girare per il paese con uno Scudo bianco. E non ne capisco il perché. Ho persino pensato che avesse avuto un’evoluzione interiore, che non gli interessassero più i soldi e la bella vita.
Ora, invece, mi sembra di sentire il suo mentore che lo istruisce:
“Non devi dare nell’occhio. La gente, la tua famiglia, soprattutto, deve credere che sei veramente pieno di debiti e sull’orlo del suicidio.”
In nome di questi debiti, che a quanto pare sono circoscritti a tasse, con le banche tutto è perfetto e così anche con i fornitori, il Maestro si palesa un mezzogiorno. Questa volta non siamo noi ad andare nella sua tana ma lui che viene da noi. Dev’essere qualcosa di molto importante se questo fenomeno di consuetudini, agisce diversamente.
Davanti a noi, sua piccola platea a pagamento, pontifica con parole incomprensibili, piani industriali neanche fossimo una multinazionale, accendendosi una delle sue mille pipe che colleziona e che tiene in bella mostra in quello studio pieno di cose morte. Intercala ai suoi monologhi lunghe pause durante le quali ci guarda negli occhi, con la consapevolezza del politico imbonitore di folle ignoranti, soddisfatto e convinto di avercela già data a bere. Ci interroga, per vedere se abbiamo capito, come se stesse tenendo una lezione all’Università. Sono pervasa da un senso d’inadeguatezza. Proprio non capisco quello che dice. L’unico concetto che mi pare di afferrare è che vuole farci credere che sta facendo un capolavoro di alta finanza e che da questa operazione ne ricaveremo un sacco di soldi. Ci tiene a sottolineare che una fetta sarà anche per me. Quasi mi commuovo di essere stata presa in considerazione. Per la prima volta in vita mia mi sento protetta dalla mia famiglia. Carlo è l’unico tra noi tre che sembra comprendere appieno quel lungo discorso. Risponde attento, incalzando quei paroloni come se fosse diventato nel frattempo un abile fiscalista e il Maestro lo lusinga per la sua prontezza e rapidità di apprendimento. È evidente fin da quel giorno la complicità fra loro due, ma la imputo a un’affinità d’indole di bambini mai cresciuti e viziati. Nella realtà, comprenderò che era alimentata dal fiume di denaro che passava sotto i loro flaccidi sederi. Mentre progetta chissà quali strategie, disegna su fogli bianchi scatole che rincorrono con frecce altre scatole, facendo esempi di multinazionali che hanno fatto la stessa cosa. “Ma che cazzo c’entra tutto questo con noi che abbiamo 40 operai” mi ostino a pensare. Nemmeno mio padre capisce. Continua a torturarsi le unghie, e nel suo sguardo c’é l’apprensione e forse un senso d’inadeguatezza culturale, che gli impedisce di controbattere in modo adeguato quell’uomo che maneggia in modo maldestro la sua creatura e la sventra, e questo a lui non piace. Il Ciccio continua a esprimere la sua soddisfazione toccandosi freneticamente le palle. Mentre guardo il Maestro mi ritrovo a pensare per un attimo che forse più che un commercialista sembra un prestigiatore, che fa il gioco delle tre carte, e che estrae dal suo cappello strategie che hanno la capacità di moltiplicare i soldi. Tutte le volte che esco da quell’ufficio mi sento di essere diventata improvvisamente ricca. Sebbene immersa in un pantano di profonda ingenuità, che m’impedisce di vedere le cose come stanno, avverto che c’è qualcosa di strano. Mi sento scema che non capisco, resta sempre tutto confuso. Ansia. Insomma com’è possibile che fino a un attimo prima quello bestemmia perché ripete che fa una vita di merda pieno di debiti e un attimo dopo davanti al Commercialista "numero uno" appaiono utili da dividere. Sempre però “alla fine dell’anno prossimo”. Quando si è ingenui, si crede che quelle persone che sono i propri consulenti debbano fare quello che è meglio per il proprio cliente, che non possono perseguire il disastro, soprattutto se sono riconosciuti per essere di un certo livello. Non mi è mai passato per la testa che forse in quella stanza dei bottoni, non si stavano facendo i giochi della società, ma i giochi di Carlo, e che questi non coincidono con quelli, anzi ne rappresentano l’esatto opposto. Carlo e il Maestro, insieme ai due bracci armati di quest’ultimo, avvocato e tirapiedi del commercialista, stavano preparando il loro lauto banchetto. E io e mio padre non eravamo stati invitati o quanto meno non per mangiare. Noi eravamo gli attori inconsapevoli che avrebbero permesso che questo spettacolo delle scatole diventasse una realtà. E per condire di buoni sentimenti un’operazione maligna, perché noi attori ci immedesimassimo fino al midollo, nel ruolo che ci era stato designato, Carlo pensa bene di dare all’immobiliare il nome di nostra madre morta da qualche anno. Era stata costituita per contenere tutti gli immobili della nostra famiglia. Non capivo perché farlo, alla luce del fatto che oltre alla casa di mio padre possedevamo solo un capannone e un po’ di terra lì a fianco.
La verità era un’altra. In questo modo si sarebbe potuto più facilmente passare di mano l’attività a un imprenditore “occulto” che aspettava di subentrare e che aveva accordi con il Ciccio e il commercialista.